Ecco i numeri che ci mandano direttamente i cavalli. 11, 5, 3 e 35 sulla ruota di Palermo, tanto per rimanere in regione.
Ma guardiamoli bene questi numeri…. 11 come le stalle (volutamente non scuderie…) abusive, 5 come i cavalli messi in scurezza, 3 come le persone denunciate, 35 come i 35mila euro di sanzioni elevate dalle forze dell’ordine.
È questo l’esito dell’ultimo blitz che ha interessato il quartiere San Cristoforo di Catania, dove la Polizia di Stato è intervenuta il 24 aprile in un’articolata e vasta operazione di controllo del territorio per contrastare i fenomeni delle corse e della macellazione clandestine.
Grazie a questo intervento, ben 5 cavalli hanno mancato il probabile appuntamento con la tradizionale ‘grigliata del 25’… Quindi i più sentiti ringraziamenti vanno ai poliziotti delle Volanti, a diversi agenti del Commissariato “San Cristoforo”, della Squadra a Cavallo della Questura, nonché al personale del Corpo Forestale della Regione Siciliana e ai medici del Dipartimento di prevenzione veterinaria – Servizio di Sanità pubblica Veterinaria dell’Asp di Catania.
Tutti membri della task force che su disposizione acclarata della Questura, soprattutto negli ultimi mesi, sta dando del filo da torcere alle strutture malavitose che governano questo segmento di criminalità organizzata, mettendo a segno numeri consistenti di interventi.
Sempre nella scorsa settimana a Catania c’erano stati altri controlli che avevano portato alla scoperta di stalla abusiva in un’altra parte della città, con quattro ‘ospiti’ di cui due senza identità tracciabile. Due candidati perfetti per finire nella rete dell’ombra senza lasciare traccia.
Una fake da smascherare
Tornando ai cavalli di San Cristoforo, per sfatare la diceria che quelli che devono ‘redditare’ – corse o bistecca – vengono tenuti meglio di altri, i poliziotti ne hanno trovati alcuni in condizioni igieniche pessime, ristretti in uno spazio inaccettabile. Oltre alle carenze strutturali, le forze dell’ordine hanno constatato come alcuni animali si trovassero in precarie condizioni di salute perché malnutriti e, persino, lasciati senza cibo e acqua.
Sui luoghi degli interventi, immancabile la presenza di numeri significativi di farmaci di ogni genere, che hanno portato tra l’altro alla denuncia di uno dei proprietari per esercizio abusivo delle professione veterinaria.
Un nemico molto determinato
Dirigente Generale della Polizia di Stato con un passato nella Mobile, già vicario a Trapani dopo un incarico di 4 anni a Lampedusa, questore a Taranto e a Perugia, dal 2023 al vertice della questura della città dell’elefantino. È questo in estrema sintesi il CV di Dott. Giuseppe Bellassai, il questore che ha messo in campo una politica di tolleranza zero a Catania rispetto a un fenomeno in cui, i cavalli sono solo ‘un sintomo’ evidente.
Le corse clandestine sono la punta di un iceberg molto difficile da contrastare in quanto coinvolge il concetto allargato di malaffare e illegalità nella sua stratificazione più filtrante del tessuto sociale.
Un business milionario
Togliamoci pure dalla testa che i cavalli abbiano un rilievo qualsiasi in questa storia. Per quanto siano le vittime a noi più care, cavalli, cani o qualsiasi altra forma di challenge che possa reggere il gioco delle scommesse avrebbe la stessa funzione: riciclare denaro altrimenti intoccabile e dettare il proprio predominio sui territori. Uno status symbol che ogni anno ‘macina’ numeri davvero impressionati per volume di affari, denaro e adepti.
In un enorme baraccone che vanta una gestione innominabile, far correre i cavalli clandestinamente, con tutta l’ignobile filiera che ciò comporta, è un business milionario, con numeri da capogiro, nel quale oltre ai cavalli, le altre vittime – che commettono l’errore di pensarsi invece protagonisti – sono coloro che le frequentano, vi assistono, le ‘coprono’ e vi scommettono.
Senza rendersene conto, tutte queste persone si asservono, in cambio di un pugno di euro a corsa, a un sistema malavitoso che li vuole esattamente tali: asserviti. Che è poi l’esatto opposto rispetto a essere liberi. Anche se e quando quel pugno di euro dovesse essere l’unica risorsa.
In molte occasioni, provocatoriamente, ci si è chiesto se non valesse la pena di aprire le porte degli ippodromi a queste forme di competizioni dove chi sprona i cavalli al galoppo sull’asfalto non ha neppure il coraggio di montare in sella. Gli scommettitori sarebbero forse più tutelati… Ma ovviamente, un sistema che vuole e deve muoversi sono nell’ombra preferisce l’abominio e gioca tutto sulla barbarie della necessità estrema. Dove né i cavalli né le persone devono e possono avere una dignità.

Una non-filiera pericolosissima
Uno degli aspetti meno considerati – anche da chi è lontano dalle corse clandestine – riguarda ‘la fettina’ di cavallo. Nel catanese, tra gli esempi di streetfood più gourmand, il panino con la carne di cavallo primeggia e le griglierie ‘arrusti-e-mancia’ del centro storico vivono floridissime come parte del folklore locale.
Però… la farmaco-resistenza agli antibiotici ha una mamma e un papà ben definiti dalla scienza. Assumere alimenti prodotti con animali che sono stati sottoposti a massiccia somministrazione di antibiotici, cortisonici, ormoni e mille altre sostanze significa far ‘abituare’ il nostro organismo alla loro presenza. Cosa pericolosissima nel caso si debba ricorrere a principi attivi analoghi per combattere, per esempio, una infezione grave. In quel caso, il nostro organismo potrebbe non rispondere alla ‘funzione’ del farmaco in quanto si è già abituato alla sua presenza, vanificandone l’azione. E di questa cosa, si muore.
Secondo un dossier nel 2024, in Europa ogni anno si verificano più di 670mila infezioni da batteri resistenti agli antibiotici, che causano oltre 35mila decessi. Circa 12mila in Italia. Secondo l’Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco), se il trend non sarà interrotto, nel 2050 l’antibiotico-resistenza sarà la prima causa di morte in Italia superando le malattie cardiovascolari e i tumori.
Il che ovviamente non significa che tutto ciò dipenda dalla ‘fettina’ di cavallo catanese. Dipende dal fatto che consumiamo molti antibiotici e alla fine questi perdono la loro efficacia. In tutto ciò anche la ‘pulizia’ della catena alimentare ha un peso molto rilevante.
E che fine volete che facciano le decine di cavalli che abitualmente vengono ‘pompati’ per correre più veloci senza i controlli doping? Fettine. Di sicuro. E qualcuno le mangia.
Un tema fastidioso
Che fine fanno i cavalli che vengono ‘messi in sicurezza’ in tutti gli interventi delle forze dell’ordine? Visto che non passa giorno che tra Polizia e Carabinieri non ci sia almeno un sequestro, a una media di un paio di cavalli al giorno la mandria diventa consistente… I numeri sono davvero ingenti.
Come spesso accade quando ci si avvicina al tema della proprietà, la legge pone paletti garantisti. Indispensabili il più delle volte ma che nel caso dei cavalli diventa una palude.
I cavalli vengono attenzionati dalle autorità e messi in sicurezza in strutture private che si occupano della loro corretta gestione per tutto il tempo che può servire a definirne la legale proprietà.
Ovvero, fino a quando un giudice decide chi deve occuparsene. Con l’orribile paradosso che questa persona a volte coincide esattamente con quella a cui è stato tolto. Sì. Molti cavalli tornano esattamente ai loro carcerieri. Fatto che francamente fa ‘cascare la catena’ tanto alle forze dell’ordine tanto a chi li ha accuditi temporaneamente o ne ha a cuore il benessere. Come ci ha raccontato uno dei gestori di una scuderia che in molte occasioni si è prestata ad accogliere questi cavalli in difficoltà «Ogni volta che li vediamo ripartire in van per tornare nelle mani di certa gente ci si stringe il cuore e ci viene da dire che forse è davvero tutto inutile».
Focus sul problema
Nel caso della scoperta della stalla abusiva di settimana scorsa, i quattro cavalli trovati dalle forze dell’ordine sono stati sottoposti a ‘fermo sanitario’, ovvero non possono essere ‘mobilitati’ fino a quando non saranno regolarizzate le condizioni di custodia e saranno completati gli adempimenti sanitari, compresa l’applicazione del microchip. Gli animali dovranno essere trasferiti entro sette giorni in una struttura regolarmente registrata e conforme alle normative. Sette giorni non sono pochi…
Del resto, molto spesso non c’è una alternativa. Ovvero non c’è una persona o una istituzione che se ne assuma l’onere o che ne possa acquisire, d’ufficio, la legale proprietà. A fronte di un fenomeno con numeri preoccupanti, mancano i mezzi, mancano le strutture e forse perfino quel pizzico di lungimiranza e fantasia che di questi cavalli potrebbe fare un esempio di legalità.